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Siamo tutti (troppo) Social

smartphone

Smartphone in mano alla fermata dell’autobus. Ragazzi che non si guardano neanche in faccia, non si parlano, ma sono incollati col viso nel telefono.

Beh, forse anche noi la mattina a 16 anni non eravamo le persone più pimpanti del mondo, qualcuno aveva le cuffiette e si isolava, ma l’interazione era tra le persone, non con gli oggetti.

Faccio questo esempio solo per poi ricollegarmi ai social, gioia (poco) e dolore (molto) di questa società.

“Una attività che si occupa di web contro i Social Network?”. Non esattamente, ma il nocciolo della questione è che si passa troppo tempo su social network, avvolti da notizie che ci “interessano”, ma che in realtà ci portano dove vogliono loro.

Che siano pensieri, acquisti o bisogni.

Bisogni creati, bisogni che non esisterebbero se non ci venissero spiattellati come la cosa più figa del mondo.

Pensateci bene, scambiereste una settimana in un resort alle Maldive con uno smartphone? A pelle, credo che la risposta sarebbe no. Ma non è cosi, altrimenti non si spiega come la Apple possa vendere milioni di iPhone ad un costo mediamente 3, 4 volte superiori a quello di smartphone di uguale potenza, o comunque al costo di una vacanza all inclusive alle Maldive, appunto.

Il 60% della popolazione mondiale è online

Quasi 5 miliari di persone connesse. 4,33 miliardi di esse sono registrate sui social. Sono dati di aprile 2021, destinati già ad essere cresciuti.

Immaginatene la forza, di quesi social. Che possono far tendenza, si ma anche regola.

Che possono cambiare, spostare, inquinare i pensieri, i prospetti, le idee del mondo.

Dei primi 3 social, compreso WhatsApp, perché anche questo è un social, 3 sono di Zuckerberg: Whatsapp, Facebook, Instagram.

Tutti connessi, tutti a sbranarsi sui social, a commentare negativamente su YouTube quell’artista che non apprezzano o a litigare con altri per commenti che dietro a un monitor è facile scrivere, ma che dal vivo non si potrebbero mai e poi mai sostenere.

Non è il mezzo, ma l’utilizzo che si fa dello stesso, si sa.

Ma anche l’utilizzo che viene fatto dagli stessi nei nostri confronti.

Sono i social infatti ormai ad utilizzare noi, non il contrario.

Ci bombardano di notifiche, ricordi, per tenerci incollati. Per rimanerci ore.

Per poterci utilizzare, per vendere.

Per vendere il nostro tempo alle aziende che lo acquistano, facendo inserzioni, comprando spazi, per entrarci nei telefonini, negli occhi, nella testa.

E’ giusto che le aziende utilizzino questi canali per farsi conoscere, d’altronde il nostro lavoro è anche questo. Utilizzare i social per far conoscere, magari, l’evento di quel ristorante o le scarpe di quella azienda di settore.

Ma non lasciamoci mangiare da quella scatolina nera che registra ogni cosa di noi, e ci fotte la testa, facendoci credere che tutti la pensano come noi solo perché vediamo contenuti simili ai nostri.

Basterebbe ogni tanto prendersi tempo.

Lasciare il telefono in casa, oppure spegnerlo quando si è con amici, non portarlo in spiaggia ma giocare coi figli, non portarlo in camera ma parlare con la moglie.

Riprendersi la vita in mano, e non pensare che sia solo in quella cosa che teniamo in mano.